Universalità e particolarità: parole dal significato opposto, appartenenti a due mondi diversi. Eppure, il macroscopico e il microscopico convivono grazie un rapporto di tipo simbiotico, senza il quale non saremmo in grado di descrivere né l’uno né l’altro. Giungere a una definizione di qualcosa di grande, proprio come potrebbe essere l’universo, risulterebbe impossibile senza prendere in considerazione le singole galassie. Viceversa, un qualcosa di estremamente piccolo non avrebbe significato di esistere se non in relazione a qualcosa di più grande (un singolo neurone non rappresenta il cervello). Allo stesso modo, in fotografia risulterebbe inefficace affrontare tematiche esclusivamente personali, dal carattere prettamente specifico, che non rimandino l’osservatore a una qualche sensazione già vissuta, a un esperienza comune, universale.

Per cogliere meglio cosa significa rendere il particolare universale, occorre dare un’occhiata al libro Io Sono di Giorgia Pastorelli. Benché sia un progetto nato “dal desiderio di conoscere se stessa e costruire la [sua] identità” il libro contiene fotografie in grado di evocare una realtà ancestrale. Scatti che occupano un’intera facciata si alternano a dittici e a polaroid che mettono in risalto contrapposizioni estetiche di vario genere. Guardando la pianta dalle foglie taglienti e simili alle dita di una mano mostruosa si prova inquietudine. Nel cielo, così puro, si ritrova la calma. Serenità e ansia, luci e ombre, bianco e nero, morbido e duro emergono in un perfetto equilibrio, richiamando il principio esistenziale dello Yin e dello Yang. “Il progetto è infatti il risultato di un percorso, fatto di alti e bassi, di luce e ombre. È una dualità che sto imparando ad accettare e che, volenti o nolenti, è presente in tutti noi. Ogni singola fotografia racconta un aspetto del mio carattere, una mia paura, un’emozione, un obiettivo. Ho capito che nella divisione cerco l’unione: il non sentirmi più “spaccata” tra la me del presente e quella del passato, la luce tra le linee rappresenta il presente, il volersi affacciare e mostrare al mondo, il non pensare al futuro”.


A rendere il progetto ulteriormente interessante sono le parole che emergono sfogliando le prime pagine del libro. Di seguito ne riportiamo l’estratto:
“IO SONO” È paura, è coraggio, è futuro, è accettazione, è leggerezza e pesantezza insieme, è pazienza, è fiducia e sfiducia, è quella sensazione orribile nella pancia, i brividi sulle gambe, il disagio nelle mani, è odio, è amore, è sentirsi piccoli, è la solitudine, è il senso di colpa, è l’abbandono, è “e se”. Ma poi respiro. E quel groviglio di pensieri, quel loop senza fine, piano piano inizia a sciogliersi e diventa una spirale, chiara e definita. Tutto si collega con tutto. Tutto trova il suo posto. Io sono. Io sono qui e ora. Io non sono i miei pensieri. Non entrare nel traffico. “IO SONO” sono io, niente di più.
La fotografia entra in stretta connessione con il respiro, quell’atto che permette all’artista di porre termine alla confusione, all’insensatezza, all’ansia che scaturisce dal semplice atto di essere vivi. “Il respiro mi riporta alla realtà. In momenti di ansia la prima cosa che faccio è ricordarmi di respirare per tornare con i piedi per terra e così riesco a placare l’inarrestabile e aggrovigliato flusso di pensieri nella mia mente”. Io Sono di Giorgia Pastorelli non è quindi solo un photobook dove l’artista ha ritrovato se stessa, ma anche una sorta di meditazione, un invito alla consapevolezza dell’esistenza. Il tutto fermando il tempo, respirando attraverso la fotografia.
