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Barbara Probst: Poesia e Verità – alla Triennale di Milano

Dalla mia Vita: Poesia e Verità è il titolo dell’autobiografia di Goethe, che segue la vita dello scrittore dalla nascita nel 1749 al trasferimento a Weimar nel 1975. Preso in prestito dalla Triennale di Milano, Poesia e Verità diventa il nome della prima mostra personale in un’istituzione italiana della fotografa tedesca Barbara Probst. La fama internazionale di Probst è passata dalle esposizioni al MoMA a New York, il Museum of Contemporary Photography a Chicago, la Tate a Londra, Le Bal a Parigi.

La mostra è composta da 24 opere, per un totale di 91 immagini. I generi degli scatti sono i più vari: dalla moda agli still life, dal nudo alla street photography al reportage. Sono alternati anche l’uso del colore e del bianco e nero. Ogni opera è una pluralità di punti di vista, composta da due o più immagini. La scena è sempre una sola, un unico soggetto, ritratto nello stesso istante da più posizioni.

Grazie a un sistema radiocomandato, Probst fa scattare simultaneamente gli otturatori di più fotocamere. L’effetto è a un tempo straniante e ammaliante. Quasi mai risulta immediatamente chiaro come le immagini siano connesse. Ci si trova così davanti alla parete, a fissare le fotografie, una per una e poi insieme, interrogandosi su come aspetti così diversi del reale possano essere messi in relazione, possano derivare, addirittura, da fotografie dello stesso soggetto scattate nello stesso momento.

Una mano su un vetro, un viso, un paesaggio. Un volto e accanto lo stesso, ma specchiato. Una gamba, un gomito, una bottiglia, una mano. Le scene in sé, si potrebbe dire, non sono nulla di speciale. Oggetti, persone, situazioni ordinarie. Una ragazza in piedi in una strada vuota, oppure davanti a un garage; un passante che attraversa la strada. Semplicemente la realtà, le cose di ogni giorno.

Le opere di Probst mostrano in modo diretto sia il limite che il potenziale pressoché infinito della fotografia.

Il limite è reso evidente: nessuna fotografia può rappresentare fedelmente la realtà. Tutto quello che una macchina fotografica può fare è imprimere su pellicola o sensore un istante, una prospettiva, in tutta la sua inevitabile parzialità. Guardando le immagini di Probst, camminando tra le opere nelle stanze della Triennale di Milano, però, si capisce anche come questo limite possa essere una ricchezza.

Se è vero che non c’è modo per catturare la realtà, è vero anche che questo offre un infinito potere narrativo. Ogni momento viene liberato dal peso della banalità. Tra le mani del fotografo, la fotocamera diventa allora più simile a un pennello: si può iniziare a creare, anziché rappresentare. E questo fa Probst: è la nascita di un mondo nuovo.

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