Paolo Simonazzi è un fotografo emiliano, autore della recente pubblicazione Il filo e il fiume che è anche un’esposizione curata da Andrea Tinterri e Ilaria Campioli. La mostra sarà aperta fino all’8
Maggio presso Palazzo Pigorini (Strada della Repubblica, 29/a), a Parma.
A Paolo, estroverso appassionato del suo territorio (e di musica), abbiamo domandato di raccontarci cosa vuol dire essere filo ed essere fiume…

Loredana De Pace: Paolo, ci spieghi il significato del titolo del tuo progetto?
Paolo Simonazzi: Vista la mia passione per la musica e la mia propensione a farla dialogare sinergicamente con la fotografia, il titolo è un riferimento, sia semantico che sentimentale, anche se con significati differenti, all’album musicale del 2014 di Rosanne Cash, figlia del celebratissimo Johnny Cash, The river and the Thread, che tradotto vuol dire per l’appunto Il fiume e il filo.

LDP: Il tuo lavoro è praticamente sempre autobiografico, quasi un continuo auto-ritrarsi prendendo a prestito i luoghi che ami. Ma tu e l’essere umano più in generale ci siete raramente. Perché?
PS: Indipendentemente dal fatto che le persone siano o meno fisicamente rappresentate, penso, per quanto le classificazioni siano sempre riduttive, che le mie ricerche fotografiche possano ritenersi umanistiche, con un sentimento di fondo in bilico tra empatia e irriverenza. Nel progetto Il Filo e il Fiume – la cui fonte d’ispirazione fondamentale è stata il lavoro del 2004 di Alec Soth, Sleeping by the Mississippi – le persone compaiono fisicamente in 18 delle 56 immagini che compongono il libro e io stesso con la mia ombra faccio, per così dire, un’apparizione nella foto conclusiva. Tanta roba, prendendo a prestito un tormentone di questi ultimi anni, non trovi?

LDP: Rispetto al tuo solito, sicuramente! E poi è intrigante la scelta hitchcockiana di essere presente, anche se solo con l’ombra, in una tua immagine. Cambiando argomento, torniamo all’inizio del libro quando fai una dedica molto speciale. Ci racconti meglio?
PS: Questo libro è dedicato alla memoria di Riccardo Brizzi, scomparso nel 2015, insigne neurochirurgo di straordinarie capacità professionali, per molti anni primario dell’Ospedale Maggiore di Parma, dal quale ritengo di essere stato miracolato all’età di 22 anni, nel 1983. Brizzi era una persona estrosa e nutriva una grande passione per il fiume Po, tanto da fondare insieme a un gruppo di amici un’associazione per la salvaguardia ecologica del Grande Fiume, le cui acque erano evidentemente già più che torbide all’epoca. Queste vicende mi hanno guidato nella scelta di Parma come prima sede espositiva per questo progetto.

LDP: Infatti questo lavoro, oltre che a essere una pubblicazione di Silvana Editoriale, come dicevamo è anche una mostra che si sta svolgendo proprio a Parma. Di solito a un autore si domanda qual è la foto senza la quale il libro non sarebbe lo stesso. Invece io ti chiedo qual è la foto che ti piace meno e perché?
PS: Mi ricordo che in una bellissima mostra dedicata a uno dei miei fotografi preferiti, William Eggleston, presentata nel 2008 al Whitney Museum of American Art di New York, su un pannello erano riprese queste parole di Eggleston che rispondeva alla domanda di quale fosse la sua immagine prediletta: “Tutte le fotografie sono diverse, non c’è pertanto la preferita”. Il sentimento è quello di amorevolezza per le proprie creature, poi succede che a un certo punto non si vede l’ora che escano di casa e possano riuscire a camminare con le proprie gambe…

LDP: Il Filo e il Fiume è anche una mostra, abbiamo detto. Che differenza c’è fra visitare l’esposizione e sfogliare il libro?
PS: La stessa differenza che c’è tra l’ascoltare e maneggiare un disco – naturalmente e rigorosamente in vinile – e assistere ad un concerto dal vivo!

LDP: E qui emerge in grande stile il Paolo Simonazzi appassionato di musica, quello che ha due jukebox dove conserva i dischi di annate diverse! Insomma, musica e fotografia sono inscindibili per te. Quindi mi viene da chiederti: hai una colonna sonora di questo lungo progetto?
PS: Mi stai, come si si suol dire, invitando a nozze, e allora ti faccio dono di una compilation: Bruce Springsteen con The River e With Every Wish, Bob Dylan con la sua Mississippi, Francesco De Gregori quando canta Via della Povertà e Serie di Sogni, dall’album Amore e Furto dedicato appunto a Dylan, per non parlare di Zucchero con Oltre le Rive, Lucinda Williams che canta Compassion, Officina del Battagliero con Battagliero, Extraliscio con È bello perdersi, Paesaggio Dopo la Battaglia di Vasco Brondi e, naturalmente, Rosanne Cash con l’intero album The River and the Thread.

LDP: Paolo ora una domanda un po’ marzulliana: Il filo e il fiume o il filo è il fiume?
PS: Una coincidenza curiosa: il giorno in cui mi hai inviato queste domande, Andrea Tinterri era proprio in RAI, da Marzullo per parlare della mostra… Fatta questa divertente premessa la risposta comunque è Il filo e il fiume. L’intero lavoro è impostato su un sottile e delicato equilibrio tra questi due elementi in una serie di continui riferimenti, citazioni, intrecci, contaminazioni.

LDP: Marzulliana anche la coincidenza, evidentemente!
Una volta concluso un progetto così impegnativo come sta un autore Non ti senti privato di quella tensione che solo un lavoro del genere può restituire? E se sì, come colmi il vuoto che questa lascia?
PS: Domanda bellissima! Per semplificare la risposta, che potrebbe in realtà essere alquanto articolata, trovo conforto nella citazione del mio prediletto Bruce che introduce le immagini del libro: “In questi giorni me ne vado a zonzo e rido dei molti fiumi che ho attraversato, ma sulle rive lontane c’è sempre un’altra foresta in cui perdersi”, citazione del Boss tratta dalla sua canzone With every Wish.










Loredana De Pace è una giornalista e curatrice indipendente. Per Origine cura la rubrica Q&A Under Pressure. Per info e contatti:
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