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Now You See Me Moria: Fotografia e design contro la vittimizzazione dei rifugiati

Il progetto Now You See Me Mória è nato nel 2020 a partire da un momento di lutto. La fotografa e fondatrice Noemì aveva da poco perso l’amore della sua vita e padre di suo figlio. L’idea dietro NYSM è di modificare la narrazione mediatica sui rifugiati.

La narrazione fotografica dei rifugiati

I problemi principali per quanto riguarda rappresentazione dei migranti sui media sono due,” spiega Noemì. Il primo è la durata di quelli che vengono chiamati “news cycles“: dopo una tragedia umanitaria, l’attenzione mediatica resta alta e focalizzata per circa due settimane, prima di spostarsi altrove. Il secondo problema sta invece proprio nella costruzione delle immagini che comunemente accompagnano la narrazione. Il mezzo fotografico è un veicolo potente, bisogna prestare attenzione a come lo si usa in questo contesto.

I rifugiati vengono rappresentati in un modo molto specifico,” secondo Noemì. I casi sono due. Minaccia o vittimizzazione. Nel primo caso le fotografie tendono a ritrarre i migranti in gruppo: “sempre tutti insieme o su una barca, è un messaggio chiaro“. Anche il linguaggio si adegua: alle fotografie sono associate parole come tsunami o invasione. L’alternativa della vittimizzazione, anche se spesso le fotografie sono di maggior pregio artistico, non è migliore: “in questo caso si tratta generalmente di ritratti da vicino, di una donna, un bambino, oppure di un papà con i figli che piangono.” Susan Sontag nel suo famoso saggio Regarding the Pain of Others spiega come immagini violente possano risvegliare le coscienze e portare a un riconoscimento del proprio privilegio e di come questo influisce negativamente sulle vite altrui.

Il problema con il proporre questo tipo di immagini nel 2022 però è che “oggigiorno siamo esposti a così tante fotografie che ritraggono il dolore degli altri che siamo diventati indifferenti, anestetizzati“. Il risultato inevitabile è che non si reagisce più. Se da un lato le fotografie di guerra generano un sentimento di pietà, dall’altro la pietà si accompagna a un senso di distacco (tutto questo sta succedendo molto lontano da me) e di impotenza (non c’è niente che possa fare per diminuire la sofferenza che vedo).

Marilen Rauch Irvandy Syafruddin – SE

La genesi di Now You See Me Mória

Now You See Me Moria nasce nel 2020 quando un amico mostra a Noemì per la prima volta le fotografie di Amir, un profugo nel campo di Mória. Racconta la fotografa: “ho subito visto cosa Amir stava cercando di fare con le sue foto: voleva disperatamente far arrivare il suo messaggio“. Le immagini di Amir sono semplici, chiunque potrebbe averle scattate con un cellulare. Sono semplici, ma riempiono un pesante silenzio: “sono un modo per gridare al mondo: tutto questo sta ancora succedendo, dobbiamo fare qualcosa!.

Il campo di Mória

Il campo di Mória è stato costruito nel 2014, pensato per ospitare 3000 persone. Nel 2020 ne ospitava più di 20’000. Le condizioni umanitarie erano già allora disastrose, con molti ospiti che dormivano senza nemmeno un riparo. A settembre 202o un incendio ha distrutto una porzione del campo che ospitava 12’000 persone.

Nel mezzo della pandemia le notizie su Mória facevano però fatica ad emergere: “non c’era niente su quello che stava succedendo a Mória“. Grazie al suo background in ambito fotografico, l’idea di Noemì era “aiutare Amir a far uscire le foto dal suo Facebook“. Il progetto è partito inizialmente come una pagina Instagram.

Blaž Rojs – SI

Cambiare la narrazione

Le fotografie di NYSM vogliono mostrare un aspetto diverso di quello che significa essere rifugiati, e nello specifico vivere in un campo come quello di Mória:”l’idea è mostrare qualcosa con cui ci si possa identificare,” sulla base del principio che “se riconosci in un altro qualcosa di te diventa più difficile restare a guardare senza fare niente mentre soffre“. Le foto scattate con i cellulari dai rifugiati stessi possono avere meno valore a livello puramente estetico, ma hanno il pregio di lasciare la narrazione nelle loro mani. NYSM propone quindi una terza via rispetto a vittimizzazione o minaccia; mostrare l’umanità dei gesti di ogni giorno, ma anche la forza e l’ingegno dei soggetti, così come le loro competenze. “Per esempio,” racconta Noemì, “nel campo di Mória, nonostante non ci sia quasi nulla, molte persone hanno imparato a costruirsi i mobili da mettere dentro le tende. La scorsa estate abbiamo mostrato come riuscivano a proteggersi dal sole con strutture improvvisate quando il caldo era soffocate“.

Il successo è stato inaspettato. Dopo un mese si erano uniti altri due fotografi, Ali dall’Afghanistan e Quataeba dalla Siria. La pagina ha oggi più di 40’000 follower. L’obiettivo però era andare oltre il digitale.

Lahav Halevy – IL

Il ruolo del Design

La soluzione è arrivata in maniera inaspettata: “sei mesi dopo aver lanciato il progetto ho visto una mostra che usava il poster come medium: le migrazioni non c’entravano nulla, ma l’idea mi è rimasta in testa“. L’utilizzo del poster nello spazio pubblico permette anche di andare oltre alle bolle di interesse tipiche del funzionamento dei social: “è vero che avevamo molto seguito, ma si trattava principalmente di persone già interessate al tema delle migrazioni e attive in questo senso“. Uscire dal digitale rappresentava una sfida: “volevamo confrontare con le nostre storie le persone contrarie all’immigrazione o spaventate dal fenomeno, o informare chi non ci stava pensando“. La base delle opere di NYSM restano quindi le fotografie scattate nei campi o sulle diverse rotte migratorie, ma queste vengono poi rielaborate attraverso il design grafico per lanciare il loro messaggio con più forza.

Nell’ultimo anno e mezzo NYSM è stato esposto in importanti musei di tutto il mondo, dal Foam e Stedelijk ad Amsterdam al Weltmuseum di Vienna, al Civa di Brussels fino a Firenze.

Dopo aver iniziato a lavorare con un solo designer Noemì ha deciso di aprire una open call. Più di 500 persone hanno inviato i loro lavori. Il lancio simbolico del progetto è stato deciso per il 14 febbraio 2021: “l’idea era che i poster venissero appesi contemporaneamente nelle città del 27 paesi europei“.

Angelos Panayides – CY

Afghanistan e Ucraina

Ad agosto 2021, dopo la presa di Kabul da parte dei Talebani, NYSM ha lanciato la NOW or Never Gallery che raccoglie lavori sul tema dell’Afghanistan, che tocca Noemì da vicino: “il padre di mio figlio era afghano, parte della mia famiglia è lì“. Dopo che l’attenzione mediatica ha cominciato a svanire, NYSM ha continuato a raccontare le storie della crisi umanitaria, denunciando e spingendo tutti ad agire:

non cerchiamo eroi, non è una situazione che possa essere risolta da una persona sola. Quello che possiamo fare è ispirare le persone ad agire. Il cambiamento sociale arriverà con il tempo, quando sempre più persone acquisiranno consapevolezza. Educare quante più persone possibile e spingerle a pensare si crea pressione sociale, che poi produce il cambiamento“.

non cerchiamo eroi, non è una situazione che possa essere risolta da una persona sola. Quello che possiamo fare è ispirare le persone ad agire. Il cambiamento sociale arriverà con il tempo, quando sempre più persone acquisiranno consapevolezza. Educare quante più persone possibile e spingerle a pensare si crea pressione sociale, che poi produce il cambiamento.

Agata Kulczyk – PL

Nel caso dell’Afghanistan l’illustrazione diventa protagonista: vista la sensibilità delle vittime e la necessità di mantenere il riserbo sull’identità, lo strumento grafico ha reso possibile strutturare la conversazione senza creare situazioni di pericolo. Un aspetto importante nel fare informazione tramite la fotografia è anche essere in grado di comprendere quando sia meglio non usarla.

Gabriela Araújo – PT

Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina la pagina di NYSM si sta dedicando agli aspetti più pratici dell’emergenza, organizzando trasporti e veicolando aiuti.

Dall’esperienza e dall’attività di NYSM si può imparare a usare la fotografia come forma di empowerment. A veicolare i messaggi con forza e semplicità, grazie alla potente unione di immagini, parole e forme.

DE

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