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Q&A Under Pressure di Loredana de Pace

Marco Cheli: Hôtel de la vie

Di solito si parla dei progetti fotografici quando questi sono belli e confezionati, pronti per essere guardati, studiati, analizzati, criticati, osservati, pronti per il mondo, insomma. Invece stavolta facciamo un passo indietro (ma solo per andare avanti!) e “interroghiamo” il fotografo Marco Cheli, che conosciamo per i suoi reportage, per il lavoro Fortza Paris, non certo per i ritratti in bianconero che fanno parte del suo nuovo progetto che ha intitolato Hôtel de la Vie. Si tratta dei primi esperimenti nel mondo del ritratto realizzati dall’autore senese. E allora perché ne parliamo? Perché ci piace sapere cosa muove un fotografo, che ha già saputo coltivare un suo stile, ad andare oltre confine per cercare altro. Ecco cosa ci ha raccontato.

Loredana De Pace: Marco Cheli di mestiere fai il grafico ma sei anche un fotografo. Sei nato a Siena e hai già alle spalle un tuo percorso nel mondo delle immagini, con progetti di reportage di un certo livello e con il lavoro Fortza Paris, divenuto una pubblicazione editoriale, e un’esposizione itinerante. Inoltre sei rappresentato dall’agenzia Parallelozero. Quindi ci domandiamo: perché mai a 43 anni t’è venuta voglia di ricominciare “a studiare”, a metterti alla prova con un nuovo genere fotografico, nel tuo caso specifico, con il ritratto?

Marco Cheli: Perché mi annoio velocemente… E quindi ho bisogno di trovare spesso qualcosa di nuovo su cui confrontarmi. Ho sempre guardato al ritratto da lontano con non poca indifferenza perché convinto che fosse un mondo noioso dove un mix di tecnica e tecnologia facessero il 99% del lavoro, lasciando l’1% al ditino che fa click. Prendi una bella modella, la vesti poco, ti fai uno schema di luci e poi fai click. Forse perché ci sono tanti “cialtroni” in giro che fanno sfoggio di parti anatomiche nascondendosi dietro alla scusa del nudo artistico… È questo che, a causa sicuramente di una mia superficialità, mi teneva lontano dal mondo del ritratto.

LDP: Che cosa vuoi “tirare fuori” dal tuo soggetto quando lo fotografi?

MC: Niente di intrinseco nell’inconscio del soggetto ricollegabile a traumi infantili… Scherzi a parte, non pretendo di scavare in chissà quale meandro della psiche, sono contento quando riesco a mettere il soggetto a proprio agio – e non è facile – visto che al momento nemmeno io mi sento a mio agio.

LDP: Segreti, bugie, verità, malesseri, semplicità, malizia, bellezza, dolore: c’è tutto in questi tuoi primi esperimenti. Ambisci a questo ma anche a…

MC: …Far sì che il soggetto si riconosca nello scatto. Non faccio mai vedere il lavoro se non l’editing finale di 4/5 scatti. A quel punto valuto la reazione. Nella mia scala dei punteggi l’espressione bella foto vuol dire che ho fallito. Invece quando intercetto un sorriso vuol dire che si riconoscono in quello scatto e per me è una grande soddisfazione!

LDP: Cosa ti piace e cosa non ti garba ancora di questi risultati?

MC: Difficilmente mi accontento dei miei lavori, quindi ti dirò quello che ancora non mi convince. Sento che c’è ancora poco di mio. Sono nella fase di studio che non so quanto durerà, e in fotografia studiare vuol dire anche copiare, per lo meno all’inizio. Quando ho deciso di lanciarmi in questo progetto la cosa più difficile è stata scegliere la persona a cui affidarmi, anche se in realtà seguivo il lavoro di Eolo Perfido da tempo perché letteralmente innamorato dei suoi ritratti. La cosa difficile è stata prendere il coraggio per contattarlo. A un occhio critico si nota sicuramente il manierismo con cui in questa fase sto cercando di lavorare sui miei soggetti.

LDP: Aspirazione massima?

MC: Più che aspirazione la definirei un traguardo… Quello di riuscire ad acquisire una cifra stilistica tutta mia che possa in qualche modo rendermi riconoscibile. Solo a quel punto non si parlerà più di esercizi.

LDP: Lo scatto che ti ha fatto dire: “Ah però forse ci siamo!”.

MC: Io non ho mai detto che ci siamo!

LDP: Chi sono i tuoi soggetti?

MC: Sono partito fotografando amici più o meno vicini. Sapevo che non mi avrebbero mandato a quel paese. In realtà sto allargando il campo d’azione cercando in giro persone con tratti fisionomici particolari. Anzi, se qualcuno che legge fosse interessato prendo volentieri in considerazione volti particolari, caratteristici, curiosi. Oggi i social facilitano molto il primo approccio con il soggetto che ti interessa fotografare, lo schermo del computer annulla l’imbarazzo che un tempo si provava nel fermare una persona per strada e domandare se gli andava di essere fotografata, ma nel mio modus operandi vorrei rompere questo schema, anche se apparentemente più comodo. Parte degli esercizi che sto facendo nel percorso didattico si basano anche su questo, su come rendersi credibili.

LDP: E la location? È molto scarna, quasi a volerti ancor più mettere alla prova “solo” con i volti.

MC: Ho ricavato una piccola sala di posa in una parte del mio studio grafico. Lo spazio non è molto grande, quindi faccio di necessità virtù. Ma in questa fase è sufficiente, come avrai notato sto lavorando con pannelli e un solo punto di luce, naturale o artificiale, ma uno soltanto.
In realtà sto iniziando molto timidamente a lavorare su un minimo di scenografia con l’idea di approcciare anche il ritratto ambientato.

LDP: L’ambiente in cui fotografi è “povero” dicevamo, ossia privo di ogni dettaglio, o forse dovremmo dire di distrazioni. È un’operazione strategica questa?

MC: Anche il soggetto è privo di ogni dettaglio. Abbigliamento neutro, niente che possa distrarre dall’espressione, dalla posa, dalle mani che ho imparato essere fondamentali nella forza espressiva di una fotografia. Sono all’inizio di un percorso che vorrei mi portasse a evoluzioni più creative, ma non ho fretta e ho bisogno di consolidare un metodo di lavoro che si rifà a quello vecchio stile dei grandi maestri della fotografia del secolo scorso.

LDP: C’è un prima e un dopo nel percorso fatto finora “dentro” al ritratto?

MC: Nel prima c’è solo tanta confusione e curiosità, nel mentre tanti scatti e tanti libri, nel dopo vorrebbe esserci l’analogico: vorrei iniziare a lavorare con un banco ottico, ma questa è un’altra storia. Non voglio comunque rinnegare il passato: con il reportage ho dato vita al mio progetto a lunghissimo termine che racconta cultura e tradizione popolare della mia città, Siena. Devo solo trovare la giusta chiave di lettura per farlo attraverso il ritratto. Per ora mi limito a raccogliere i miei soggetti sul profilo Instagram che ho chiamato Hôtel de la Vie.

LDP: Perché proprio Hôtel de la Vie?

MC: L’Hôtel de la Vie, dove la Vie vuole rappresentare l’umanità in genere. Uno dei miei sogni nel cassetto è diventare proprietario di un piccolo albergo nel cuore della mia città, uno di quei posti dove la gente viene e va. Mi intriga tantissimo questo aspetto del viaggio, conoscere persone che mai rivedrai in vita tua. Ho iniziato a guardare la sala di posa come fosse una stanza del mio piccolo hotel, dove la gente rimane il tempo di un ritratto, ma poi il ritratto rimane per sempre, blocca il tempo. Sarà un caso ma nei tanti viaggi, che ho avuto la fortuna di fare, ho sempre fatto amicizia con i gestori delle strutture ricettive. Dopo anni continuo regolarmente a sentire i miei amici cubani, birmani, marocchini, gente con cui magari ho avuto a che fare per solo pochi giorni di persona.

LDP: Dettaglio nerd che non posso non chiederti: quali strumenti usi e qual è il tuo schema di illuminazione preferito?

MC: Scatto con la fotocamera mirrorless full frame Sony Alpha 7III rigorosamente incollata su treppiedi. Amante delle ottiche fisse ho dovuto ricredermi sugli zoom non tanto per la praticità di utilizzo quanto perché mi hanno permesso di vedere il lavoro da un punto di vista differente. Ora infatti scatto prevalentemente con un obiettivo zoom Sony FE 24-105mm f/4 G OSS. Di questa ottica apprezzo non tanto la praticità di utilizzo quanto lo switch che ha provocato nel mio approccio al lavoro. Ho iniziato addirittura a usare la rotella degli ISO! Questa corsa sfrenata all’ultimo ritrovato tecnologico ci porta ad avere un’attenzione maniacale verso la perfezione dell’immagine, non considerando nemmeno che siamo già arrivati a standard non più percepibili dall’occhio umano, quindi inutili. Se di una fotografia d’autore si discutono aspetti tecnici prima di altro allora vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Chiaramente mi riferisco a un ambito fine art, artistico e non commerciale. Per le luci mi destreggio tra un flash Godox SK400 II con octobox da 120cm e un pannello led Nuada R4II molto comodo soprattutto per la trasportabilità. Ma quando è possibile la luce naturale è imbattibile!

LDP: Chi sarà il tuo prossimo ritratto?

MC: In questo preciso momento sto aspettando mia cugina, ma in agenda ho messo il Papa e il Presidente della Repubblica. Bisogna pensare in grande!

Per contattare l’autore:
mc@marcocheli.it

Profilo Instagram del progetto:
@hotel_de_la_vie

Loredana De Pace è una giornalista e curatrice indipendente. Per Origine cura la rubrica Q&A Under Pressure. Per info e contatti:

loredanadepace.com
@loredana_de_pace
loredanadepace@gmail.com

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