Q&A under pressure di Loredana De Pace
Il protagonista di questo spazio stavolta è il fotografo Marco Ciccolella con il suo progetto People and Places. Vediamo cosa ci racconta!
Il titolo del tuo lavoro è People and Places: che significa esattamente?
Si tratta di una ricerca che va avanti da diversi anni, cominciata grazie al fatto che per scelta di vita ho cambiato casa e nazione molte volte. Attualmente, ad esempio, devo decidere in quale Stato stabilirmi, dopo un periodo vissuto in Russia.
Ho incontrato molte persone con culture, tradizioni e credenze differenti ma People and Places è soprattutto una ricerca sul me stesso che si adatta nei vari luoghi in cui va a vivere.
Le città, ovviamente, sono costruite dalle persone, ma poi sono le città stesse a costruire le persone che ci vivono. Quando si cambia città, ci si adatta, si studiano e si imparano nuove abitudini, nuove tempistiche e modalità di rapporti.

Quindi, quale sarebbe la formula del tuo progetto?
Per realizzare People and Places la formula prevede un’intervista alle persone più varie, fotografate nel loro luogo preferito. Tutto è valido: panchine, piante, divani, bar, laghi, porti… Quasi tutti trovano soddisfazione nel parlare di ciò che amano, ma la particolarità sta proprio nel raccontarsi in quello specifico luogo perché essere proprio lì innesca una reazione unica nelle espressioni e nelle sensazioni delle persone ritratte. Io faccio questo: cercare di capire perché si è scelto un determinato luogo e intercettare nelle foto la relazione che la persona ha instaurato con esso.

Il tuo è un progetto “di semplici ritratti” come sembra o è qualcosa di più?
La fotografia per me è uno strumento per conoscere, condividere, parlare e capire quali sono le modalità con cui le persone interagiscono tra loro, come spendono il loro tempo libero, quando si vedono, dove e perché. Gli incontri per People and Places sono durati da un’ora fino a intere giornate trascorse insieme al soggetto fotografato. Ci si vede, si parla andando insieme verso il posto del cuore e di solito le foto scelte sono le ultime scattate al termine di questo ‘percorso’ di conoscenza.

E come sono questi posti del cuore?
Alcuni luoghi sono molto semplici, altri vengono vissuti per pochi minuti al giorno, altri ancora fanno parte della loro vita da anni, oppure – paradossalmente – esistono posti d’affezione che non saranno mai visitati, eppure resteranno idealmente eletti a luogo speciale.
Non rischi di essere dispersivo raccontando tante micro-storie?
Questa è una domanda che non mi ero mai posto perché non lo vedo un problema. Una grande storia è sempre fatta da milioni di intrecci e casualità delle piccole vicende al suo interno. La vita stessa è composta da micro storie. A me interessa la semplicità: se le persone si fermano su una panchina a mangiare un gelato dopo una giornata di lavoro per me è importante. In fin dei conti tutte queste storie, apparentemente insignificanti, creano la nostra quotidianità.
Da dove provengono i tuoi intervistati?
Da decine di luoghi diversi, hanno culture e inclinazioni religiose diverse, ma nel mio lavoro sembrano tutti normali, uguali. Questo almeno è ciò che mi viene detto quando mostro le fotografie del progetto. Ecco, è proprio questo il concept di People and Places.

Quali sono il volto e la storia più importanti di People and Places?
In verità mi ritrovo nel lavoro complessivo, non in una singola fotografia. Sono luoghi e motivazioni molto personali ed è interessante come alla stessa domanda che pongo, ossia ‘portami nel posto che ti fa star bene in città e raccontami il perché’ ho avuto sempre risposte differenti. Capita anche di andare nello stesso posto con varie persone e il medesimo luogo assume connotazioni diverse perché la ragione che muove le persone coinvolte è un’altra.
Logicamente con alcuni mi sono sentito più vicino, con altri meno, ma tutti insieme fanno un ritratto di una che mi piace chiamare la città inesistente, ossia del grande gruppo umano che ho conosciuto.
In un momento in cui l’essere umano è al centro per via della questione pandemica, non credi che con tutta questa attenzione poi possa montarsi la testa?
No, non penso che ci si possa montare la testa quando ci si chiede il perché delle cose, ma forse ci aiuti a capire meglio le nostre scelte. I piccoli momenti di vita quotidiana sono per me quello che veramente costruisce la nostra personalità. Nelle grandi occasioni di svolta si cambia strada, si rafforza una decisione, ma la via che ci ha portato all’incrocio è importantissima. Trovarsi con gli amici al bar la sera oppure camminare in un parco soli sono le azioni che, secondo me, ci portano a scegliere e costruire pian piano la nostra vita. In tanti non avevano mai pensato a quale fosse il loro luogo preferito, a volte servono anche giorni per ricevere una risposta. La cosa interessante è che se rifacessi la domanda alle stesse persone oggi probabilmente avrei una risposta differente.

La giovane alta e assorta che hai ritratto davanti all’uscita della metro mi colpisce: ferma in mezzo alla folla come se niente fosse…
Per Anna, questo il nome della ragazza fotografata, quello è il suo luogo d’affezione. Si tratta dell’uscita di una delle stazioni metro di Mosca in cui si incrociano quattro linee. Lei passava da lì tutti i giorni. In realtà quello è un non-luogo, nessuno si ferma, nessuno vive effettivamente in un incrocio. Lei però è attratta dall’energia delle persone, dalla moltitudine di volti differenti, dalle persone che suonano cercando di racimolare qualche rublo nei tunnel o sulle scale.
In definitiva, Marco perché pensi che il tuo progetto abbia senso?
People and Places per me ha senso perché è un campionario umano e semplice di persone con le stesse esigenze sia pur provenendo da luoghi lontani e avendo background differenti. In queste foto cadono gli stereotipi del ‘sentito dire’, le barriere del luogo comune su questa o quell’altra cultura e popolazione. In fin dei conti le persone vogliono quasi sempre la stessa cosa: una vita tranquilla, un lavoro, una famiglia, degli amici e poter coltivare le proprie passioni.
