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Vittoria Fragapane: Omote Ura

“Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi – possedere, se necessario ri-possedere, la storia del nostro vissuto. Dobbiamo «ripetere» noi stessi, nel senso etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi. L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé.”

Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello

La storia di Vittoria Fragapane, raccontata tramite un progetto fotografico intitolato Omote Ura, è l’esplorazione visiva di una memoria sconosciuta, una memoria fugace, legata alla dolcezza che emerge dalla relazione tra l’artista e la zia paterna Yuko. Se guardando le fotografie sembra di stare aprendo la porta a un mondo paradossale è perché Omoteura è il prodotto di un’acutezza intellettuale ed artistica fuori dal comune.

Tutto parte, infatti, dalla costruzione di una memoria parallela, quella che nasceva ogni volta che la zia di Vittoria rimpatriava dalla capitale giapponese: “quando a casa di mia nonna paterna arrivava mia zia Yuko, che tornava da Tokyo, portava sempre piccoli doni. Da bambina ricordo l’odore che fuoriusciva da quelle scatole quando venivano aperte, così diverso dagli odori a cui ero abituata.” L’esperienza dell’autrice veniva così scolpita da una memoria fotografica di qualcosa di mai visto prima. Una memoria di un Giappone senza tempo e che riappare all’improvviso.

Le fotografie sono scattate con una macchina fotografica analogica, una point-and-shoot, strumento che ha conferito a ogni singola opera un profondo senso di sfuggevolezza, quella stessa sfuggevolezza radicata nel tempo che impiega l’otturatore a intrappolare la luce sulla pellicola: sono scatti in cui sembra manifestarsi con una certa spudoratezza il click, quel suono che intrappola la realtà su una superficie rettangolare e che rispecchia l’immediatezza, la nonchalance di cui si è sempre nutrita la family photography.

Tutte caratteristiche, queste, che contribuiscono alla costruzione di un’estetica che trattiene elementi onirici e al tempo stesso fortemente reali, e che, come ci spiega l’autrice, è il risultato di quanto accadeva durante il suo primo viaggio a Tokyo: “le immagini presenti sfumavano con quelle della memoria. L’unione fra il mondo esteriore e interiore formava una sorta di legame tra esperienze e luoghi, come se quello stesso cammino fosse già stata percorso.”

A rendere il progetto ancora più intrigante è il significato del titolo: Omote Ura significa “fuori e dentro”, “Due parole fondamentali che si usano per identificare il principio della cultura giapponese. Infatti, “Omote” si riferisce al rapporto col mondo esterno e, quindi, a quale determinato comportamento assumere nella società. “Ura” indica invece la sfera intima e privata di una persona. Inserendomi sulla soglia fra questi due mondi, ho ricercato similitudini e differenze di un paese a me straniero, ma che sento da sempre così familiare.
C’erano momenti in cui avveniva una profonda connessione con ciò che vedevo e sentivo in un determinato momento e spazio”.

Omote Ura ha la possibilità di diventare un libro tramite la nuova piattaforma Selfself.

Selfself è una piattaforma che ha lo scopo di aiutare fotografi emergenti a realizzare progetti editoriali senza avere un budget iniziale a disposizione. Un luogo dove poter divulgare il proprio messaggio visivo coinvolgendo il supporto della community. Creare e proporre mondi e visioni autoriali attraverso un nuovo modo di fare editoria.

La raccolta fondi è attiva fino al 9 di maggio, potete supportare il lavoro di Vittoria qui: https://selfselfbooks.com/prodotto/campagne/vittoria-fragapane/omote-ura/

Vittoria Fragapane, nata a Roma nel 1993, è una fotografa freelance. Il suo lavoro fotografico si concentra su un rapporto di contrasti fra interno e esterno, fra immagini legate alla memoria e al presente, ponendosi spesso sulla soglia fra i due mondi, rivelando tensioni e similitudini. Di carattere prettamente intimista, i suoi paesaggi vengono raffigurati attraverso un’atmosfera sospesa senza tempo.

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