Carlo Rovelli, in uno dei suoi illuminanti discorsi destinati a un pubblico che di fisica quantistica capisce davvero poco, avanza un’ipotesi tanto ammirabile quanto frustrante: il tempo non esiste. Il discorso ruota intorno all’idea che il tempo, benchè misurabile, dimori esclusivamente nella nostra testa: la sua esistenza è figlia della nostra capacità d’immaginazione, della nostra necessità di misurare il misurabile.
Intendiamoci: per descrivere la realtà, la fisica classica si è sempre dotata di equazioni in cui il tempo giocava un ruolo essenziale. La velocità si ottiene dividendo lo spazio preso in considerazione per il tempo impiegato a percorrerlo. Tuttavia, l’esplorazione della gravità quantistica ha portato alla formulazione di equazioni in cui scompare la variabile del tempo. Che cosa significa? In poche parole che, per descrivere lo spazio, bisogna smettere di pensare al tempo. In definitiva, si può osservare la realtà semplicemente guardando come i corpi si spostano l’uno rispetto all’altro. Quanto tempo ci impieghino è una domanda che sorge unicamente dalla presenza di un osservatore, di una mente capace di introdurre un concetto che in realtà non esiste.
Se si vuole apprezzare pienamente Towards the horizon, il progetto fotografico di Simona Nobili, è proprio da questo osservatore che bisogna partire. Come suggerisce il titolo, il soggetto principale delle fotografie è ciò che noi definiamo orizzonte, quella “linea apparente che segna l’incontro del mare o della terra con il cielo” e che, come ci ricorda l’autrice, “altro non è che una linea immaginaria che sta solo negli occhi di chi guarda”.
La tecnica su cui si basa la creazione di Towards the horizon si chiama ICM (acronicmo di Intentional Camera Movement), e consiste nell’adoperare tempi di scatto relativamente brevi e nel muovere intenzionalmente la fotocamera durante il tempo di posa. Il risultato è qualcosa che normalmente classificheremmo come una fotografia mossa, poco chiara. Sono caratteristiche volute, che permettono di sviluppare una prospettiva diversa – a cos’altro dovrebbe servire la fotografia? – che fa emergere la realtà con un’apparenza unica, un’apparenza che sembra proiettare e unire con grande chiarezza l’idea dell’autrice secondo cui “ci siano più orizzonti di quelli che vediamo” e ciò che Rovelli propone durante la sua spiegazione: “in realtà lo spazio è come un’onda che si frantuma”.
Le fotografie rappresentano paesaggi tanto riconoscibili quanto sfuggevoli. Qualità, queste, che l’autrice ottiene “sfumando i soggetti, impastando i colori, creando scie e linee con l’intento di suggerire senza descrivere, evocare senza connotare, per avvicinarmi in qualche modo alla materia dei sogni dialogando con l’infinito.”
Towards the horizon è un progetto tanto semplice quanto complesso, e che racchiude una pletora di significati attribuibili alla sfera della percezione. Ma più di ogni cosa, il progetto sembra essere un invito a non fermarsi di fronte alle apparenze, a guardarle con curiosità fino ad abbracciare l’incertezza radicata nell’essere vivi.
Simona Nobili vive a Roma ed è attrice e fotografa. Ha recitato in teatro, in televisione e al cinema con registi quali, tra gli altri, Marco Bellocchio e Giuseppe Tornatore. Negli ultimi anni, parallelamente alla recitazione, si è dedicata alla fotografia conseguendo il diploma in Fotografia all’Istituito Superiore Roberto Rossellini di Roma. Usa indifferentemente la tecnica analogica e digitale. Ha iniziato solo di recente a proporre i propri progetti per mostre e pubblicazioni.