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Arianna Raimondo: New Amsterdam, “la resa dei conti”

Arianna Raimondo è una giovane fotografa e studentessa alla LABA di Firenze. Proponiamo qui il suo lavoro New Amsterdam, prototipo per un fotolibro. New Amsterdam nasce dal bisogno di raccontarsi: è la storia di una ragazza cresciuta senza un padre, perché detenuto. La fotografia, in questo contesto, diventa per Arianna un modo per fare i conti con il proprio passato, con le esperienze che l’hanno formata. Oltre a un’occasione per affrontare esperienze traumatiche, New Amsterdam rappresenta una forma di story telling originale, che unisce spunti metaforici con fatti concreti e autobiografici. Le fotografie che compongono il progetto sono per metà materiale originale scattato dall’artista, e per metà immagini di archivio prese da Google Maps. Le immagini di archivio sono state inserite con uno scopo preciso: spesso sono “più crude e significative e in grado di far soffermare lo spettatore quanto basta per immedesimarsi in una storia che non gli appartiene”. Diventano così veicolo per rendere più universalmente comprensibile una storia personale, per riuscire a far sentire chi guarda parte di un immaginario personale altrui. Realizzare un progetto autobiografico può presentare dei limiti: “alle volte”, spiega Arianna, “raccontare con i propri occhi non basta per far capire a un pubblico più vasto quello che si prova”.

All’interno del fotolibro immagini che parlano di reclusione sono messe in contrapposizione con fotografie che richiamano la libertà. In modo delicato ma potente, la giustapposizione di concetti opposti veicola il senso della reclusione e il peso che essa reca, per chi è recluso così come per chi sta al di fuori, libero di guardare il cielo. Una vista delle montagne viene contrapposta a quella di un penitenziario dall’alto, una fotografia del cielo a una di una recinzione. Ma New Amsterdam non prende in considerazione solo la privazione della libertà come legata alla prigione, racconta la detenzione in senso più lato: “ogni uomo è prigioniero, della sua famiglia, del suo ambiente, della sua professione, dei suoi tempi e di tutto quello che lo controlla,” scrive Raimondo nella prefazione. New Amsterdam è “è quello che ricorda una figlia. Il vuoto, l’attesa, le guardie, la crescita, l’ironia, il dolore, poi, il nulla”. Un ricordo in cui non si fatica a identificarsi, che si fa comprendere e condividere, che ci fa accettare che per ogni parte “libera” nell’individuo ce n’è una che deve rendere conto di sé, prima o poi, a qualcuno.

“Where are you?” chiede una bambina mentre soffia una candelina su una torta di compleanno: “Dove sei?”; due mani sembrano toccarsi, allungandosi una verso l’altra, ma la seconda è solo un’ombra e il contatto è un’illusione. Così Arianna racconta la sua storia, espone i suoi pensieri, il suo dolore, e allo stesso tempo fa riflettere sulle assenze e le mancanze che hanno segnato la vita di ognuno personalmente. La violenza è una presenza aleggiante e diffusa, ma ben definita: la si trova in un uomo nel cassone di un furgone della polizia con un’arma puntata addosso, in proiettili che cadono nel buio, nella fotografia di un fucile.

Insieme documentaristiche e metaforiche, le fotografie di New Amsterdam fanno pensare ai limiti e alle recinzioni che delimitano la vita dell’individuo nella società moderna. Arianna Raimondo ci guida in un viaggio che è un percorso nella sua storia personale e nella nostra vita, lo fa con tutti i mezzi che la questione richiede: immagini scattate da lei e da altri, scandite dalle sue parole:

Well, these days I’m fine?

No, these days I tend to lie

“Se sto bene ultimamente? No, ultimamente tendo a mentire”. Stiamo bene? Ci spinge a chiederci, oppure mentiamo, a noi stessi e agli altri? E se siamo in qualche modo rinchiusi, come fare per raggiungere e abbracciare di nuovo con lo sguardo le montagne?

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