La Renina è un enzima prodotto dal rene che causa ipertensione nel corpo umano. Quando la Renina entra in circolo il battito aumenta e ci troviamo in uno stato di agitazione cardiaca. Le immagini che compongono ‘Renin’, il progetto di Niccolò Morelli, classe 1999, hanno esattamente lo stesso effetto sulla mente dell’osservatore. A guardarle si prova un senso di tensione, quasi di angoscia.

Si percepiscono al contempo la pluralità del mondo che ci circonda e l’ansia che questa genera quando se ne diventa consapevoli. Può essere un dettaglio, uno sguardo, un raggio di luce che ci colpisce per un attimo, ed ecco che ci ritroviamo consci di quanto la realtà sia fondamentalmente inafferrabile. Il battito aumenta. Agitazione cardiaca. Eternamente relegati al di qua del muro che separa significato e significante, tutto quello che ci resta sono attimi di intuizione.


Il fatto è che i soggetti delle fotografie di Morelli sono piccole porzioni di realtà su cui qualsiasi sguardo si è posato. Nella parte, il tutto. Una chiave perduta, forse lì per caso, attraverso lo scatto si fa simbolo: diventa la via d’accesso per un mondo interiore, rappresenta una speranza. Un raggio di sole colpisce un paio di occhiali e diventa un serpente dai poteri magici, un pezzo di ghiaccio simboleggia la misantropia. Il risultato è insieme incredibilmente personale e universalmente condivisibile. Davanti a una qualsiasi di queste fotografie si uniscono la visione particolare dell’artista e quella di chi guarda. L’ incontro avviene nel mezzo. Ma si tratta di un incontro in cui nessuna delle due parti abbandona, nemmeno per un momento, la propria solitudine. Soli, coltiviamo il nostro significato.

Niccolò “vive per essere negativo” e ritrova nella sua pratica il pessimismo Leopardiano. Come la frana ritratta in una delle sue fotografie, Niccolò sente che siamo costantemente in balìa della fine. Gli alberi ancora in piedi sono avvolti nell’oscurità, quelli già caduti giacciono illuminati davanti ai nostri occhi. Non c’è nulla che possiamo fare: altri alberi cadranno, e dopo quelli altri ancora. Nel moto perpetuo di una fine che continua ad accadere, ma non si decide mai ad arrivare. “Queste immagini,” spiega, “sono il culmine della mia negatività cosmica, del mio sentirmi niente, creato sull’infondatezza del nulla”.

Davanti all’inesorabilità dell’esistenza, Morelli non rimane paralizzato. Le sue immagini e la sua personalità, al contrario, sono piene di un furioso moto. Un pendolo che oscilla tra ribellione e rassegnazione. ‘Renin’ è realizzato un po’ in digitale e un po’ in analogico, un po’ a colori, un po’ in bianco e nero, qualche foto è scattata in 35 e qualcuna in 120 millimetri. Il formato varia a seconda di quello che si propone di catturare, come una rete che si adatti al suo pesce.

Questo miscuglio di stili visivi restituisce la complessità della mente dietro l’obiettivo. Vivace e irrequieta, alimentata dalla costante della negatività. Attorno a sé, Niccolò vede una fitta nebbia, e “più la nebbia si avvicina, più siamo insofferenti, più impazienti, più irritabili e meno crediamo nel futuro”. È una nebbia densa, fatta del peso della banalità, e della tendenziale insofferenza che caratterizza la sua intera generazione. Una nebbia che diviene un filtro, che lattiginosa appanna gli occhi, che ci impedisce di distinguere con chiarezza i bordi delle cose. Occorre ricordare però che il filtro non è meno reale di quello che nasconde, e che vive di una sua concretezza. ‘Renin’ ci mette davanti alla concretezza del filtro.

Quello che serve è un nano ballerino, secondo Morelli, che aiuti ad affrontare la banalità. Un nano ballerino nella testa. Che tirando qualche corda giusta, pestando qualche tasto dolente, ci faccia alzare la mattina, riconoscere la nebbia, guardare al di là. Fosse anche solo per l’attimo di un’intuizione.
